Ipogeo di Strada Martinez

 Ipogeo di Strada Martinez

 

UBICAZIONE Lat. N: 41.0836944; Long. E: 16.8742611
MAPPA https://maps.app.goo.gl/Woik89U1qXh6NAE49
CONDIZIONE GIURIDICA Proprietà mista pubblico/privata
PROVVEDIMENTI DI TUTELA D.Lgs n. 42/2004, art. 12
Estremi del provvedimento: DM 04/12/1979; DM 18/09/2017
INTERESSE CULTURALE Bene architettonico di interesse culturale dichiarato
DATAZIONE IX-X secolo
CATALOGO GENERALE BENI CULTURALI 1600177419
RIFERIMENTI CARTOGRAFICI E DOCUMENTALI catasto.fspuglia.it →
vincoliinrete.beniculturali.it →
catalogo.beniculturali.it →
 

Inquadramento generale

Nei pressi della località denominata “la Grava”, sul versante occidentale del percorso della lama Fitta, si trova uno dei più interessanti complessi ipogei presenti nel territorio del Comune di Bari. L’insediamento prende il nome dalla strada che costeggia il margine occidentale della lama e incrocia a Sud-Est strada La Grava, intercettando lungo il suo percorso – letteralmente, sotto di esso – la chiesa rupestre e l’insediamento sorto attorno ad essa. Fino alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, questo tratto della lama conservava quasi interamente intatti gli argini naturali e la campagna circostante era caratterizzata da una intensa coltivazione, in special modo della vite e dell’olivo.
Il sito di Strada Martinez è molto antico e per alcune caratteristiche di tipo insediativo viene interpretato come pertinente ad un casale che sembra potesse svilupparsi in maniera articolata lungo il percorso della lama sul quale insistono altri insediamenti minori, distribuiti nell’area compresa fino a Villa Lopez, a Nord, e lungo Strada Giardinelli in direzione est-sud/est. 
Questo complesso ospitava un insediamento a carattere monastico di cui, tuttavia, non è possibile ricostruire con certezza la denominazione. A tal proposito, Franco e Carlo Dell’Aquila, ai quali si deve la gran parte degli studi condotti sugli insediamenti rupestri in terra di Bari, proponevano identificare il sito come pertinente al casale “Cillaro”. La storia documentale ricostruita dagli studiosi copre un arco cronologico che va dalla metà del X alla fine del XVI secolo e ricorda la presenza di una prebenda destinata a ecclesiastici minori i cui possedimenti, che comprendevano le chiese di San Leone, Sant’Angelo e Sant’Antonio, erano localizzati in “loco Cillaro”, identificabile con il comparto territoriale gravitante sul diverticolo di lama Fitta che percorre l’area periurbana subito a Nord-Est del centro abitato di Carbonara.

 

Architettura

Il sito rupestre di Strada Martinez occupa un’area di circa 220 mq ed è composto da un ampio ambiente centrale, attorno al quale si sviluppano una serie di vani di minori dimensioni, comunicante a Sud con una chiesa a due navate disposte su un asse centrale con orientamento est-ovest. 

L’ingresso principale alla chiesa si trovava lungo il lato settentrionale che, purtroppo, attualmente è completamente ostruito da blocchi in crollo e detriti di differente natura. Sulla stessa parete, oltre all’ingresso, si trovavano due aperture finestrate, dal profilo ad arco leggermente ribassato, rifinite all’esterno da una ghiera incisa. L’ingresso, che insieme alle finestre dava luce alla chiesa, immetteva nella navata principale ampia quasi il doppio rispetto alla navata laterale meridionale. La traccia di un vano di forma stretta e allungata esterno alla navata e adiacente al muro settentrionale, demolito nel corso di lavori di sistemazione del fianco della lama, ha fatto supporre la presenza qui di un nartece il cui accesso e la cui comunicazione con la chiesa rimangono di difficile soluzione.

L’ingresso alla chiesa immette nella navata centrale, la cui parete di fondo è movimentata dalla presenza di due nicchie di profilo allungato, profonde circa 50 cm, inquadrate da archi a sesto ribassato rifiniti in facciavista da una ghiera dipinta. Lo spazio della navata centrale, coperto da un soffitto piano, è interrotto a Est dalla presenza di un muro di iconostasi alto poco mendo di un metro al di là del quale si apre la zona presbiteriale (bhèma o presbyterium), accessibile da un varco nell’iconostasi, caratterizzata da un differente motivo di copertura del soffitto, che in questa zona imita una volta a vela, e posta ad una quota pavimentale più alta rispetto al resto della navata, alla quale si raccorda per mezzo di bassi gradini. La diversa copertura della campata destinata ai presbiteri era, inoltre, enfatizzata dalla presenza di quattro colonnine: due poggiavano direttamente sul muretto di iconostasi, mentre le altre due erano impostate ai lati dell’abside che chiudeva a Est la navata centrale. I quattro supporti verticali, caratterizzati dalla presenza di una sorta di capitello definito da un dado funzionale al raccordo con il soffitto, realizzavano così, nello spazio chiuso della navata, l’idea di un ciborio che enfatizzava la zona più importante di quel luogo sacro. 
Sul fondo del presbiterio, a Est, si apriva il catino absidale, anticipato da un altare posto centralmente e rialzato di circa 40 cm rispetto al piano pavimentale del presbiterio. L’abside, enfatizzato da una ghiera incisa sull’archivolto, è a sua volta posto ad una quota di circa 30 cm più alta rispetto al piano sul quale si trovava l’altare ed è caratterizzato dalla presenza di una tomba, ricavata mediante lo scavo della parete di fondo del catino absidale avvenuto in un momento successivo alla prima realizzazione della chiesa. L’apertura della tomba in una posizione così eminente dichiara, in maniera inequivocabile, l’importanza e la santità del defunto.

La navata minore si articola su una successione di quattro campate, coperte con volta a botte a sesto ribassato, che si susseguono dal muro di fondo in direzione della terminazione absidata della navata a Est. Sulla parete di fondo, come nella navata maggiore, si apre una nicchia di forma stretta e allungata; la parete meridionale, invece, è caratterizzata dalla presenza di quattro grandi nicchie, profonde tra 30 e 50 cm, poste in asse con le aperture che consentivano il passaggio tra le due navate. Simmetricamente alla sistemazione della navata centrale, anche l’ultima campata in direzione est della navata minore risulta separata dal resto dell’aula da un muro divisorio che, di fatto, separa anche qui la zona del presbiterio riservando quel settore della chiesa a funzioni di sacrestia, che nella tradizione greca prende il nome di diakonikon. Così come sulle arcate della navata principale e sull'abside sono presenti ghiere dipinte direttamente sulla faccia lisciata della roccia tufacea, o su di un leggero d'intonaco, anche l’abside di questa navata presenta l’archivolto decorato da una fascia dipinta a motivi geometrici, mentre la parete absidale reca le tracce di una croce a rilievo. Tutte le decorazioni, tuttavia, sono poco leggibili a causa del degrado generale degli ambienti dell’ipogeo.


Dal punto di vista architettonico, lo studio condotto sull’impianto della chiesa di Strada Martinez da Franco e Carlo dell’Aquila ha messo in evidenza una precisa volontà progettuale nella realizzazione e la relazione di questa con maestranze di cultura greca, ravvisabile – in modo particolare – nell’utilizzo di un sistema metrico basato sul piede bizantino (31,5 cm circa).

A Nord-Ovest della chiesa, lungo il ciglio occidentale della lama si affaccia il complesso rupestre che, allo stato attuale risulta in parte coperto dalla quota del piano di campagna e dalla presenza di una notevole quantità di pietrame che ne ingombra una considerevole parte. Un ingresso posto nelle immediate vicinanze della chiesa, ruotato di circa 45° rispetto a questa, consente l’accesso al vano più ampio del complesso, di pianta grossomodo trapezoidale, che occupa una superficie di circa 40 mq.
L’ambiente, nel quale sono presenti due grandi pilastri risparmiati dallo scavo del vano per la tenuta statica del soffitto piano, si caratterizza per la presenza di una serie di nicchie, di forma e funzione diversa tra loro, disposte lungo i muri perimetrali. Alcune di questi spazi ricavati nella parete di tufo hanno dimensioni ridotte e dovevano servire per l’illuminazione artificiale dell’ambiente; altri spazi, di maggiore ampiezza e posti a quote più alte, invece, non sono stati pienamente compresi nelle loro funzioni. Oltre a questi, lungo le pareti si aprono quattro grandi nicchie, sormontate da aperture arcuate, che fungono da giacigli; questa sorta di piccole alcove sono corredate da un cuscino ricavato modellando lo scavo del banco roccioso e, talvolta, da una piccola nicchia posta nella parete di fondo. Le aperture, e i relativi letti, sono poste a circa 90 cm dal piano di calpestio e misurano in media 180 cm di lunghezza per una larghezza di 100 cm; gli arcosoli, invece, raggiungono l’altezza del soffitto. In un momento successivo alla prima realizzazione del complesso, la parete di fondo di uno degli arcosoli della parete occidentale venne perforata per ricavare un nuovo, piccolo vano di forma quadrangolare alle spalle di questo.
Tornando alla descrizione del grande ambiente centrale, attraverso un passaggio ricavato nell’angolo sud-occidentale del grande si raggiunge un secondo vano, di modeste dimensioni, all’interno del quale sono ricavate altre due alcove, del tutto simili a quelle presenti nell’ambiente principale. Il giaciglio a Sud risulta perfettamente conservato, mentre l’arcosolio posto sulla parete opposta è stato lavorato, scavandone il letto, per ricavare – forse – lo spazio necessario ad alloggiare una sepoltura. 

Dal grande ambiente centrale, tramite due accessi ricavati lungo la parete settentrionale si accede al terzo nucleo del complesso ipogeo. Questi vani, a pianta rettangolare e soffitto piano, sono ancora caratterizzati dalla presenza di piccole aperture sulle pareti, probabilmente utilizzati per differenti funzioni. I primi due spazi ipogei a Nord del grande ambiente con pilastri sono caratterizzati dalla presenza di un pozzetto ricavato nell’angolo nord-occidentale del vano sul quale si aprono due aperture poste a circa 100 cm e 160 cm dal piano di calpestio, destinato, forse, alla conservazione delle derrate alimentari. Lungo la parete nord di questo vano, tramite un passaggio si accedeva ad un secondo ambiente, anche questo dotato di tre piccole nicchie arcuate, poco profonde ma ben realizzate. Entrambi i vani si aprivano verso Est su piccoli ambienti, purtroppo distrutti, direttamente affacciati sul fianco della lama.

Sulla base della tecnica di scavo e dall’analisi degli interventi sulla struttura interna del complesso, è stata ipotizzata una prima realizzazione del grande ambiente centrale con pilastri e della camera più interna con arcosoli sulle pareti nord e sud. Questa prima fase sembra legata allo scavo della chiesa e, dunque, ad un momento imprecisato compreso tra IX e X secolo. In una seconda fase, invece, non posteriore al XIII-XIV secolo, potrebbe risalire la realizzazione degli ambienti a Nord della grande camera con pilastri e la scelta di ricavare un ulteriore ambiente, a Ovest, sfondando il muro di fondo di uno degli arcosoli della prima fase. 

Per la presenza della chiesa e per le caratteristiche degli ambienti che ad essa si legano, l’intero complesso di Strada Martinez è interpretato come testimonianza della presenza di una comunità legata ad una làura.  Questa tipologia di insediamenti a carattere monastico consisteva in una serie di celle, grotte o piccoli ambienti scavati in roccia, nei quali vivevano i monaci con una chiesa e un sacerdote in comune; nel tempo, queste comunità potevano strutturarsi e organizzarsi in veri e propri cenobi: luoghi dove più monaci conducevano vita in comune, seguendo la medesima regola.
In tal senso, dunque, la chiesa di Strada Martinez, conosciuta proprio per i motivi prima accennati anche come chiesa “dei Romiti”, rappresentava un riferimento importante per la comunità monastica e, più in generale, per la popolazione rurale che viveva e lavorava lungo i fianchi di quel diverticolo interno della lama Fitta che prende il nome di La Grava e che, ancora oggi, segna nella toponomastica dei luoghi la presenza di un importante insediamento che, secondo le interpretazioni di Franco e Carlo dell’Aquila, potrebbe essere identificato con il casale medievale detto “Cillaro”.

 

Immagini gentilmente concesse dall'Ing. Raffaele De Rosa. © Ing. Raffaele De Rosa.

 Ipogeo di Strada Martinez